domenica 11 marzo 2012

SERSE

L’ultimo minuto di vita gli passò davanti inosservato come tanti altri prima. Perché a volte la morte arriva senza annunci, senza fanfare o clamori; ed è una fortuna, che però non si fa in tempo ad apprezzare.

Con la scopa tra le mani e la cantina da sistemare Serse aveva pensieri usuali quel giorno. Ogni tanto, cercando di schiacciare qualche scarafaggio temerario che cercava di sfuggirgli tra i piedi, imprimeva rapide accelerazioni alla sua azione; poi tornava a ramazzare a capo chino sentendosi un po’ meglio ad ogni insetto spiaccicato.
“….poi devo trovare una scatolone per i vetri rotti…”
Sotto alla luce fredda del neon spostava cose da un angolo all’altro; le scatole con gli addobbi di Natale da una parte, quelle con tutte le vecchie bollette mezze sbiadite dall’altra.
Poi trasferiva le lattine d’olio pugliese, quello buono per le grandi occasioni, nello scaffale d’angolo, impropriamente accanto alle bottiglie di liquore. Perchè ogni cantina ha l’impronta del suo padrone,  con vicinanze inconsuete e logiche impossibili, e pur tuttavia funzionali. Come una grande quadro futurista dove si sposano in matrimoni blasfemi speranze ed errori.
“… chissà che c’è stasera in tv..”
Non ricordando cosa ci fosse dentro, apriva scatoloni dopo scatoloni, osservando l’interno di ognuno a volte con stupore, a volte con fastidio. Ritrovò i vecchi quaderni di sua madre, dove ogni tanto da bambino si perdeva osservando quella esile calligrafia ricamare frasi e ghirigori.
“… ma pensa te che cosa facevano scrivere ai bambini all’epoca del fascio…cazzo di un mal di stomaco, è un’ora almeno e non passa..”
E ritrovò vecchie cartoline di luoghi e persone dimenticati, le filigrane di timbri illeggibili a testimoniare tempi così lontani da non poter nemmeno essere ricordati.
Ma quando quell’ultimo minuto iniziò non c’era ancora più molto da fare nella cantina. La polvere nell’aria, sollevata dai colpi di scopa sul pavimento, si stava lentamente depositando sulle cose, come non si fosse mai alzata. E lui osservava soddisfatto quel nuovo ordine ch’era riuscito ad assegnare alle cose, un poco come sentendosi Dio alla fine del settimo giorno.
“… ho fatto un buon lavoro quest’oggi, per qualche tempo ancora non sarà più necess…ah...!.”
Serse non cadde subito; rimase in piedi con la scopa rossa ancora tra le mani per qualche secondo, immobile, come un soldato sull’attenti. Un gesto appena tentato di portarsi la mano sul cuore fu il suo ultimo atto; ma quando toccò terra col capo era già morto.

Dall’angolo più scuro della stanza, nascosto da un antico tappeto persiano arrotolato, dopo pochi secondi uno scarafaggio, con circospezione si affacciò.

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