domenica 19 febbraio 2012

GLI ULTIMI ISTANTI DEL CAPITANO MILLER



I gelidi silenzi delle guerre che stanno per finire  non mi appartengono più.
Così non sarò alla parata finale, ostentando bandiere ed armi luccicanti al sole della vittoria. E non avrò sorrisi per le donne festanti, no nessun sorriso a rallegrarmi il volto.
Perché io non sarò più battaglia, né armistizio. Non firma sul trattato o discorso alla nazione.
Solo nome sul marmo, lunghe file di marmo in forma di croce ad insegnare che guerra è giusto. Che guerra è bello.
Vi prego, non fatemi il dispetto di una sepoltura degna, di una tomba incolonnata a semicerchio con le altre mille a disegnare terra e cielo.
Non rasate l’erba l’intorno né coltivate siepi e fiori a coronamento.
Non sia quel posto un parco giochi ai figli dei superstiti, vi prego.
Lasciate aperte fosse e legno, che ognuno possa veder  l’effetto blasfemo della mitraglia, l’onta della scheggia che lacera la carne, la vita sospesa sull’orlo dell’eterno.
Lasciate l’osso magro spuntare dalla divisa, la mandibola storta sotto l’elmetto, la mano  fredda che sembra accarezzare il fango.
Ma lasciatemi addosso la foto di mia moglie, macchiata da un sangue nero diventato ormai qualunque, ed esponetemi alla pioggia, che mi lavi ancora com’era un tempo. Quel tempo puro ch’io nemmeno mi ricordo.
Mettetemi in mostra così come sono, carne una volta, adesso che importa.
Che almeno una morte, la mia, serva a qualcosa, a qualcuno un giorno per ribellarsi al verbo devi.
E non sia inutile questa rinuncia.
Che il mio andare è già segnato, come affondare piano sapendo già di non voler nuotare.

Nessun commento:

Posta un commento