domenica 2 settembre 2012

METAMORPHOSIS


Sapevo che prima o poi sarebbe successo.
Le cose più segretamente temute, diceva Pavese, prima o poi accadono. Così stavolta è toccato a me.
Quando tutto iniziò, tanti anni fa, non ero ancora l’uomo fatto e compiuto che sono adesso, anzi quello che credevo sarei diventato. Allora ero solo un giovane neoingegnere che passava lunghe giornate piatte alla ricerca di un qualsiasi lavoro accettabile per non pesare sul bilancio di casa. Non che la mia occupazione fosse veramente necessaria alla famiglia, si trattava solo di un sussulto di dignità per dimostrare ai miei di sapermela cavare da solo anche fuori dal nido caldo e rassicurante della nostra casa; in realtà il mio portafoglio non era mai stato vuoto, ma avevo preferito impormi una certo rigore nella vita.
Era una regola che mi ero dato. Una delle tante.
Si perché io vivevo di regole, di matematica, di numeri. Riuscivo  a codificare ogni cosa mi circondasse; persone, cose, azioni. Riducevo tutto a complesse equazioni che nella  mia mente giravano alla perfezione.
Così una partita di calcio non era l’emozione della folla al momento del gol o il profumo dell’erba violata dai tacchetti, ma solo il risultato finale, la durata in minuti, la conta degli espulsi e degli ammoniti, il pubblico pagante o il numero degli abbonati.
E rifuggivo ogni singolo sussulto emotivo che non fosse di matrice matematica. Non un quadro o una scultura, nessun verso o racconto avrebbe potuto mai eguagliare la raffinata, eterea bellezza della logica applicata ai numeri. Anzi vivevo quasi con terrore la possibilità di venire in qualche modo contaminato da quelle inutili manfrine esistenziali umanistiche; mi sfuggiva completamente il senso del parlare d’amore, così ben enunciato nel congiungimento di due dna diversi, così come mi repellevano parole come anima, gabbiani, erba, cuore sentimento.
Odiavo Parigi ed il suo romanticismo e m’intristiva Venezia con la sua immagine da eterna cartolina: l’immancabile gondola con gli innamorati abbracciati ed il gondoliere sorridente,  i piccioni nella piazza e quel grigio spento che immaginavo vestisse la città. Si perché nel mio universo non un colore era in gradazione, tutto era solo bianco o più semplicemente nero. I mezzi colori solo inciampi.
Numeri, numeri, solo numeri e formule per spiegare ogni fenomeno. L’intervallo al semaforo, il numero in coda al supermercato, il cellulare dell’amico e le targhe delle auto. La misura dei gradini, le scale……
Le scale.
Nella continua ed a tratti assillante ricerca di lavoro mi imbattei un giorno in Laura mentre scendeva dalla scalinata del municipio. Una che come me aveva finito gli studi da poco, e che come me cercava dibattendosi di affermare la propria presenza nel mondo.
Vestiva un tailleur classico ed il suo portamento austero mi fece immediatamente pensare a qualcuno che avesse vissuto in un collegio, anzi forse iniziò a piacermi anche  per questo motivo. Era, la sua, un’eleganza ricercata, segno forse di una provenienza agiata; i lunghi capelli castani, che le ricadevano ordinati  sulle spalle, incorniciavano un volto delicato dalla carnagione chiara come una Madonna. Anche lei si accorse di me, e guardandomi per un secondo di troppo mise il piede in fallo e mi precipitò tra le braccia.
Due meravigliosi occhi azzurri mi sorrisero riconoscenti prima ancora di iniziare a parlare, mentre dopo averla rialzata mi affannavo a raccogliere i fogli che si erano sparpagliati ovunque quando mi era rovinata addosso.
-         ti sei fatta male?
-         No, non è nulla, solo un po’ di spavento.
-         Meno male, avresti potuto romperti un osso…
-         Si, meno male che c’eri tu…a proposito, chi devo ringraziare?
-         Ah, beh, io mi chiamo Alberto
-         Io Laura, piacere. Senti che ne diresti di farci un caffè?
-         Certo, ci mancherebbe, andiamo
Conoscersi in quella mattina di aprile ed innamorarsi fu un tutt’uno.
Laura era dolce e delicata, ma solo in apparenza. Dietro quella sua raffinata bellezza, dietro a quegli abiti impeccabili di sartoria, si nascondeva invece un vulcano animato da una vitalità contagiosa. Ogni occasione era buona per cercare di scardinare le regole e le convenzioni: come scoprii in seguito, ad esempio, sotto al tailleur di taglio classico indossava una maglietta degli Stones ed un tanga con disegnato smiley.
Ed un giorno venni pure a conoscenza del suo tatuaggio che, da matematico puro,  inorridendo definii osceno: sulla natica spiccava il volto di Einstein mentre fa la linguaccia. Mi sembrò di morire.
Si era laureata in scienze della comunicazione l’anno prima e lo studio era tuttora la sua passione. Divorava libri su libri; poesia, racconti, classici, ogni cosa per lei era sorpresa e divertimento. Ed era così genuinamente entusiasta che pur di compiacerla iniziai anch’io a leggere qualche testo passato da lei. Lo tenevo quasi nascosto in casa, beninteso, per poterlo sfogliare lontano dagli occhi indagatori dei miei, sempre abituati a vedermi tra le mani fascicoli di fisica o calcolatrici scientifiche che eruttavamo dati su dati.
In breve tempo però, restai contagiato da quella maledetta mania e dentro di me iniziò forse quel piano inclinato che mi ha portato ad essere ciò che sono.
Le storture della vita quotidiana si impossessarono di me come colla, invischiandomi sempre più nella nauseante varietà dell’imprevedibile. Iniziai a guardare ogni persona cercando di giudicarla dalle azioni, non solo dalle apparenze: non più altezza-peso-ricchezza bensì loquacità, profondità di pensiero, persino simpatia.
Contemporaneamente Laura, a cui avevo regalato un libro di fisica sulle teorie inerenti la creazione dell’universo, si stava gradualmente avvicinando al mio mondo. Quando ci incontravamo, prima e dopo l’amore, erano lunghe discussioni a farla da padrone. Divenne in poco meno di un anno espertissima di integrali, derivate e funzioni, anche le più complesse. Ricordo che passammo la sera del mio compleanno lei a parlarmi di fisica quantistica ed io a risponderle con dei versi di Pablo Neruda mentre rapito accarezzavo il nostro gatto nero che mi faceva le fusa in spalla. Ognuno ascoltava solo se stesso –tranne il gatto che doveva sopportare entrambi-  e questo rappresentò per certi versi l’inizio della fine.
Ci sposammo l’anno dopo, appena trovato un lavoro decente, che era settembre. Io venni assunto alla redazione del quotidiano della mia città quale curatore della pagina culturale: poesia, scrittori, recensioni, convegni e quant’altro. Lei invece trovò lavoro poco dopo presso una compagnia di assicurazioni come esperta in previsioni sugli investimenti e statistica.
Quando si dice che la vita è strana. Tutto funzionava capovolto, le nostre abitudini, le nostre attività, il lavoro, l’amore… anche l’amore.
Si perché dentro di me sapevo la maledetta verità: lei contava i nostri amplessi, si segnava mentalmente la durata in minuti di ognuno e gli intervalli tra un orgasmo e l’altro,  e non  solo quello; un giorno mi disse: ma lo sai che secondo me ti si è accorciato di un centimetro almeno….?
Troppo sorpreso per risponderle a tono mi limitai a spegnere la luce e continuai il mio dai e dai.
Il suo godimento era apparente, lo sapevo benissimo; e a nulla serviva la mia passione scatenata a fronte di un comportamento -il suo- più da robot che da femmina. Al buio la sentivo ansimare piano ma era una sorta di respiro meccanico, indotto più dalla volontà che non dalla passione. Finì che dopo un po’ i nostri incontri si diradarono gradualmente sino a trasformarsi in sporadici episodi mensili.
Oggi siamo quasi estranei, a letto come fuori. Nel suo tempo libero lei si occupa della macchina, del motore e di scacchi. Io mi appassiono di cucina ed architettura, cercando di rendere la nostra casa un poco più a misura d’uomo. Mi impegno tra i fornelli e faccio finta di non sentire quando a tavola la sento ragionare sulle calorie che sta consumando.
In fondo è solo colpa mia; se quel giorno scendendo dalle scale non l’avessi afferrata, o se fossi passato di lì qualche secondo dopo, o qualche secondo prima…
Dovrò chiederglielo prima o poi. Sicuramente esisterà da qualche parte un calcolo delle probabilità da poter incolpare…








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