(in memoria di
Mohamed Bouazizi – 29.03.1984 – 04.01.2011)
Quando mi laureai alla scuola
centrale di informatica di Sfax non pensavo avrei potuto fare altro che quello
nella vita, l'informatico. Sarebbe stato il mio destino, mi dicevo, la riscossa
per la mia famiglia, i cui sacrifici per farmi studiare non sarebbero andati
delusi.
Ma mi sbagliavo.
Allah sa bene quanto mi
sbagliavo.
Perchè giorno per giorno nulla mi
cambiava intorno, il sole era sempre più caldo, la miseria sempre più grande, e
per lavoro nulla più di un semplice banco da ambulante abusivo di frutta da
vendere a poco prezzo a gente più disperata di me.
Poco pane e tante rughe alle
mani, poco orizzonte come destino.
E Tunisi sempre troppo lontana.
Così coi pochi soldi risparmiati
un giorno ho cercato di comprarmi il diritto a vivere anch'io una vita
migliore, per porre fine a questa precarietà.
Una licenza, un permesso, solo
due timbri su un foglio di carta per assegnarmi la dignità di esistere, questo
chiedevo.
Ma un potere ottuso, stupido
prima ancora che autoritario, mi ha rifiutato, deriso ed emarginato come fossi
feccia. Anche il carro con le poche cose che avevo è andato perduto, ed ora mi
trovo con gli ultimi dinari che mi pesano in tasca come macigni mentre scrivo
queste parole. Dovrò farli rendere al meglio per poter continuare almeno questa
forma avariata di sopravvivenza oppure...quest'oggi, qui, nella piazza del mio
paese cercherò di risolvere in un modo o nell'altro la mia vita. Li spenderò
per una latta di benzina, un carburante da poco, sperando che qualcuno possa
ancora scaldarsi a questo tipo di fiamma.
Non mi resta altro da chiedere
che un metro quadro di attenzione sulla piazza di Sidi Bouzid, davanti al
palazzo del governatore, per illuminarlo con quel che avanza del mio coraggio.
Questo me lo dovranno concedere, e questo mi prenderò come trofeo.
Quel che resterà poi di me o
delle mie vesti sia disperso nel
deserto.
Sarà Allah a giudicarmi.
A te, figlia mia, diranno che è
stato tutto inutile.
Che tuo padre è morto giovane
solo per un capriccio, per una fatalità cercata, un appuntamento perso con la
storia così come ce la raccontano. Non sapendo, o non volendo sapere, che
questa storia ce la creiamo da soli gesto dopo gesto, respiro dopo respiro.
Ti diranno forse ch'ero bello e
audace prima d'invecchiare tutto in un colpo, che il fuoco arde le pieghe della
pelle, ne consuma cellule e sudori sino a lacerare la carne viva come un urlo.
Ma a me non era rimasto altro che
questa carne per urlare, credimi figlia mai conosciuta, mai nemmeno avuta.
Non mi sono dato il coraggio di
vederti bambina giocare tra la sabbia coi colori cangianti del camaleonte tra
le mani. Di vedere i tuoi occhi, che mi piace immaginare neri, guardarmi
attraverso il velo quando il canto dal minareto si diffonde all'imbrunire ed il
vento del deserto si intrufola tra le tende come ladro.
E non ti vedrò sposa, ornata e
profumata come donna, senza me accanto, senza voci festanti, senza canti, senza
danze.
Saranno fiamme oggi a
danzare. Sulla piazza Venceslao o tra i
passanti di Saigon lo furono, e di quella danza resta voce ancora adesso, persino
qui, persino ora tra queste ultime parole scritte dalla mia mano che inizia a
tentennare.
Perdonami figlia, e perdona il
mio tempo malato.
Che non è ancora il tuo.
Un giorno di primavera
RispondiEliminaUn giorno
di primavera,
forse
una manciata di petali
tradirà la mia partenza.
Saluterà tutto ciò
che avrò saputo spiegare
attendere.
Ogni mio sorriso
tutte le lacrime,
per la terra che mi parlò del vento
per le fiamme di una notte eterna,
vorranno parlarti di me.
Vado via...
così come sono giunto,
torno alle mura d'Atlantide
fratello mio,
senza pane, senza stelle
con la speranza nel cuore
di rinascere un giorno di primavera
forse,
quando una manciata di petali
sorriderà al popolo in festa.
(Michele Gentile)
...onore a Mohamed !