giovedì 23 maggio 2013

EFFETTI COLLATERALI DEL CALCIOSCOMMESSE


 

Quando mise in moto l’auto era quasi sera in quella domenica di novembre 89.

Una giornata come un’altra, in una Milano  dai colori spenti come una vecchia cartolina in bianco e nero, passata in una casa altrettanto grigia e fredda.

Roberto, che non aveva ancora una ragazza, l’aveva trascorsa con l’orecchio attaccato alla radiolina a transistor ascoltando i risultati delle partite di calcio, chiuso nella sua camera al quinto piano della casa popolare di periferia dove viveva con l’anziana madre.

Ogni tanto lei si affacciava alla sua stanza, cercando di perforare con lo sguardo l’oscurità calante tra i fori delle tapparelle, poi immancabilmente gli diceva qualcosa, probabilmente  solo per sentirne la voce risponderle.

Roberto stai leggendo ?

No mamma,  sono quasi al buio…come potrei ?

Ah…

E dopo un quarto d’ora

Roberto ti faccio un thè…?

Come vuoi mamma

Si, ora lo preparo

E così via per tutto il pomeriggio.

Ma quel giorno era accaduto qualcosa di diverso a turbare l’anonimo andazzo delle ore: l’Inter aveva perso il derby. Ed aveva perso male, tre a zero, contro i cugini rossoneri che veleggiavano nella parte medio bassa della classifica. La sconfitta aveva però degli effetti preoccupanti sulla classifica di serie A: i nerazzurri, alla seconda sconfitta consecutiva, erano stati avvicinati dagli odiati Juventini che ora si trovavano, terzi, ad un solo punto. Poco più avanti, ma ancora raggiungibile, il Napoli.

Roberto era un convinto tifoso interista sin dalla nascita, ma non era un ultras;  nei suoi ventotto anni di vita non era mai andato allo stadio, lui sempre così riservato e quasi timoroso di infastidire non avrebbe mai potuto confondersi col tifo chiassoso e caciarone di una curva. Preferiva coltivare la sua passione  da casa ascoltando, come faceva da bambino in compagnia del padre, “tutto il calcio minuto per minuto”, e lasciando alla propria fantasia il compito di immaginare azioni e passaggi descritti dalle voci dei telecronisti.

a te Ameri….” E subito nella sua mente la giornata di vento e di sole a Lecce si trasformava nella pioggia sottile di Torino mentre la voce roca del cronista iniziava con l’immancabile “qui a Torino la situazione è immutata….”.

Magari in cuor suo sognando di cantare i cori dei tifosi interisti “chi non salta juventino è…è” e così via, ma senza mai aver avuto il coraggio di indossare anche una semplice sciarpa ad indicare la propria  appartenenza.

Quel pomeriggio Roberto era deluso. Nei giorni precedenti si era lasciato andare sul lavoro, e ancor di più al bar, giurando e spergiurando che l’Inter avrebbe chiuso in testa il girone di andata con una domenica di anticipo. Ed era tanto convinto della cosa che si era addirittura voluto concedere una cosa per lui assolutamente inusuale: aveva scommesso dei soldi sulla vittoria dell’imminente derby.

Poca roba certo, adeguata alle sue magre finanze di ragioniere assunto in via definitiva da poco tempo, ma comunque una sommetta che in caso di perdita non avrebbe potuto destinare all’acquisto di quello che era l’oggetto dei suoi desideri: un piccolo televisore a colori, un semplice 14 pollici, da mettersi in camera per potersi guardare in santa pace la tv steso sul letto senza dover rendere conto alla mamma.

Sicchè, accendendo il motore della sua vecchia Fiat Ritmo azzurra, ereditata dal padre, si era messo la mano in tasca per toccare per l’ultima volta la busta col gruzzoletto, tutto in pezzi da diecimila lire, che stava per consegnare al vincitore, il proprietario del bar che da dietro al bancone lo aspettava con un ghigno beffardo.

Maledisse prima Van Basten, poi il Milan tutto e infine la propria stupidità che lo aveva portato a questo bel risultato, e si ripromise di non dire nulla alla madre; le avrebbe magari inventato di aver perso la busta coi soldi tra la folla o che gliel’avevano rubata in tram. Qualcosa, insomma,  avrebbe escogitato.

Mentre tornava dal bar, dove era stato anche adeguatamente schernito dal vincitore della scommessa e dalla compagnia dei presenti, decise di non aver voglia di tornare subito a casa; l’idea di trovarsi sotto gli assilli della madre non gli piaceva, avrebbe fatto un giro largo in tangenziale, tra le auto dei domenicali di ritorno dalla gita al lago o dalla visita ai parenti fuori Milano.

E fu proprio in tangenziale che, in lontananza, vide le luci intermittenti di un’auto ferma nella corsia di emergenza. Istintivamente rallentò e con lo sguardo famelico del passante curioso, si avvicinò con cautela. Accanto all’auto, col cofano aperto, un ragazza stupenda. Nella luce del crepuscolo, illuminata a tratti dai fari delle auto che sfrecciavano accanto, gli parve bellissima: bionda, con una minigonna a pieghe che dondolando lasciava intravedere quasi l’orlo delle mutandine, un giubbotto sintetico multicolore e un paio di scarponcini Timberland ai piedi. In quel momento si girò verso il bagagliaio, sul retro della macchina, chinandosi forse a cercare il triangolo e così facendo le si scoprirono le chiappe quel tanto che bastava a farlo distrarre e frenare di botto istintivamente mentre dalla bocca gli sfuggiva un sonoro Ollamadoooonna…!

Dietro di lui quasi immediatamente partì un coro di clacson inferociti a fargli da sottofondo.

Pensando che lo strombazzamento fosse rivolto a lei la bionda si rialzò e con ampi gesti del braccio sembrò mandare a quel paese tutta la fila che nel frattempo si stava formando.

Roberto, con l’auto quasi ferma in mezzo alla corsia, si scosse e senza pensarci due volte accostò davanti a quella della ragazza.

Posso esserti utile ?– disse appena sceso mentre due stupendi occhi verdi osservavano quel ragazzo dall’aria stralunata con gli occhialini posati un poco di traverso sul naso.

Maccheccacchio ne so……. Sta macchina del  menga non ne vuol sapere di andare……; stavo tornando a casa da San Siro per andare a fare casino in piazza con gli amici del Milanclub e sta cazzo di carriola a vapore ha cominciato a sputacchiare e singhiozzare, poi dopo un po’ si è proprio fermata del tutto e adesso non ne vuol sapere di ripartire. – disse la ragazza con gli occhi luccicanti  di rabbia a malapena repressa.

Dio che incazzatura …..che quelli mica mi aspettano - riprese tirando un calcio non troppo convinto a una gomma.

Roberto, che di automobili non aveva nessuna nozione se non quelle –esclusivamente teoriche- relative al cambio di una ruota, assunse un’aria preoccupata, cercando di dare di sé un’immagine rassicurante.

Hmh, vediamo cosa può essere….-disse avvicinandosi al cofano aperto.

Nel contempo gli cadde lo sguardo sulla bandiera rossonera che si intravedeva avvolta e posata sul sedile posteriore.

Ecco l’insidia, ti pareva…..-pensò- certo che questa ragazza è così carina….

Con fare pensieroso girò un poco intorno alla macchina mentre lei lo seguiva con sguardo titubante.

Ma la benzina c’è nel serbatoio…..? chiese improvvisamente lui come fulminato da una illuminazione divina.

Ah bèh….la benzina…..si certo, credo che ci sia – rispose incerta lei.

 

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Uscendo dall’autogrill i due rivolsero un ultimo sguardo complice all’interno verso la cassiera che li salutava sorridendo. Roberto si tirava dietro una borsa colma di salumi, pane sardo, chianti ed ogni altra porcelleria  era passata  loro per la mente. Avevano deciso di festeggiare con un banchetto improvvisato il pieno di benzina che avrebbe permesso a lei di tornare a casa senza chiamare il carro attrezzi, e a lui di conoscere quella strafiga che, incredibile a dirsi, lo aveva invitato a casa sua per festeggiare la vittoria del derby. Mentre lei apriva il baule per posare le borse Roberto le disse:

sarà meglio togliere quella tanica o tutto poi puzzerà di benzina…..

già, hai ragione…- rispose la ragazza mentre lui spostava il contenitore tra i sedili. Poi, chiudendo il portellone, gli fece un cenno con la mano e con un sorriso invitante e una strizzata d’occhio gli disse:

ok, seguimi, casa mia non è molto distante.

Roberto quasi non credeva fosse possibile una situazione del genere stesse capitando proprio a lui: si sentiva parte di un sogno dal quale però non aveva alcuna voglia di svegliarsi.

Salì sulla Ritmo con troppa energia, tanto che chiudendo la portiera gli si staccò un altoparlante dal pannello è gli rotolò tra i piedi. Ma lui, eccitato com’era,  fece finta di niente e senza nascondersi una certa frenesia accese il motore.

La sera stava diventando rapidamente notte, ed una fastidiosa nebbia era improvvisamente scesa sulla strada. La ragazza guidava veloce e in maniera spregiudicata zigzagando tra le file di auto incolonnate; Roberto, la cui guida era sempre stata calma e metodica, seguiva con fatica i due fanali della sua auto; ma appena usciti dalla tangenziale si ritrovò nel traffico diretto al centro.

Gli bastò una semplice disattenzione di pochi secondi   ad un semaforo rosso, mentre cercava di recuperare l’altoparlante che gli rotolava tra i pedali, per perderla. Davanti a sé ora vedeva centinaia di fanali accesi, tutti uguali, tutti in movimento in quella dannata atmosfera lattiginosa e non sapeva più quale fosse  l’auto della ragazza. Credette di riconoscerla in una delle macchine che aveva davanti, e si lanciò all’inseguimento senza pensarci, tagliando la strada a destra e a manca. Ma dopo poco si accorse di aver sbagliato obiettivo. Non era quella.

Sconsolato si fermò lungo uno dei viali interni, imprecando contro la propria stupidità per non essersi fatto dare, se non l’indirizzo, almeno il numero di telefono.

Quando rientrò a casa, dopo due ore di girovagare a caso per la città immaginandosi di ritrovare la bionda in piedi accanto alla macchina che lo aspettava a qualche angolo di strada, la madre era ancora in cucina ad attenderlo.

Come tutte le sere si era addormentata davanti alla TV accesa con la testa reclinata sulla spalla ed un vecchio plaid sulle ginocchia.

Roberto si avvicinò piano, le posò una mano sulle sue e le sussurrò dolcemente all’orecchio:

mamma, su, svegliati è ora di andare a letto.

Gli occhi della madre lo guardarono stupiti per qualche attimo senza riconoscerlo, poi, una volta messa a fuoco l’immagine gli disse:

ah, sei tu, ma che ora è…?

E’molto tardi mamma, dovresti…

Senti – lo interruppe lei alzandosi faticosamente dal divanetto- ti ha cercato una ragazza stasera, ha detto che ti sei dimenticato i documenti nella sua spesa…..chi è? E di che spesa parla ?

Il ragazzo si fermò come pietrificato.

Bah, comunque ha lasciato il suo numero di telefono, ha detto di richiamarla appena puoi….- disse porgendogli un bigliettino.

Il ragazzo si girò verso la madre e con gli occhi che gli brillavano di felicità  le stampò un bacio sulla fronte.

Grande mamma, grande !! Buonanotte

Poi si diresse verso la sua camera saltellando come un folletto tra le mattonelle in marmiglia del corridoio,

Dalla TV in cucina gli ultimi commenti sulla penultima di andata gli giunsero come sinfonia.

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