sabato 30 giugno 2012

CHIODI DI CAVALLO



Siccome avevo preso un altro brutto voto, mio padre mi disse:
- Va bene, allora oggi verrai con me a lavorare. Così vedrai come si fatica!
Mio padre faceva il giardiniere, e andava in giro per i giardini altrui. Andava a potar piante, rastrellare foglie e tagliare erba col suo potente tagliaerba.
Quel giorno doveva occuparsi niente meno del giardino dei terribili Lorchitruci.
I Lorchitruci erano la famiglia più ricca e potente della collina. A me facevano paura due cose di loro: il nome, perché mi veniva da pensare a degli orchi molto truci; e il giardino, appunto, perché era chiuso da una muraglia gigantesca dietro la quale chissà che cosa mai si nascondeva.
Quando richiudemmo il grande cancello dietro alle nostre spalle mi sembrò di entrare in un altro  mondo. Il vialetto inghiaiato si inerpicava dolcemente per la collina, fiancheggiato da una piccola siepe circondata da fiori di tutti i tipi. I prati intorno erano grandi distese di verde perfettamente livellato, risultato evidente del lavoro di mio padre nei giorni precedenti. In cima alla collina troneggiava la casa, una villa che però aveva quasi le sembianze di un piccolo castello medievale. Una grande torretta quadrata si innalzava verso il cielo da un angolo della costruzione, realizzata interamente in sassi sagomati. La posizione dell’edificio era stupenda, da lì si dominava tutta la valle sottostante. Accanto alla casa una piscina ovale nella cui acqua immobile si rifletteva la guglia della torre.
Scaricammo gli attrezzi dal furgone, ed io ebbi assegnata la piccola zappa per i lavori di rifinitura dell’aiuola accanto alla piscina, mentre mio padre si allontanò col tagliaerba verso il retro della casa.
Avevo iniziato da mezz’ora il mio lavoro e ragionavo tra me e me dicendomi che quel posto così incantevole non poteva essere abitato da esseri malvagi;  ero così profondamente assorto nei miei pensieri che trasalii al fragore che giunse dalla piscina. Mi voltai di scatto e la vidi. Era incantevole. Un viso dolce punteggiato da piccole efelidi, occhi chiusi per paura dell’acqua e capelli bagnati, cercava di raggiungere il bordo piscina nella mia direzione, nuotando impacciata e frenetica come fanno i cani, con le mani sott’acqua. Doveva essere la figlia dei padroni di casa; a tentoni trovò l’appiglio alla pietra, proprio davanti a me, con l’altra mano si asciugò gli occhi e mi vide.
- E tu chi sei ? – mi chiese uscendo dall’acqua
Non so cosa mi prese, forse fu il calore del sole di metà mattina, ma lì per lì mi inventai:
- Ehm..io sono...un archeologo
- E cosa stai facendo tra i miei fiori?
- Bè, è una lunga storia…e  poco interessante, sappi solo che da antiche mappe in mio possesso risulta che qui, proprio sotto a quest’aiuola, è sepolto un tesoro ….ma non devi farne parola con nessuno ! - risposi con voce misteriosa.
- Davvero..??
- Certo, ma c’è un’altra cosa importante che devi sapere: una antica leggenda racconta che chi troverà il tesoro, se non sarà baciato sulla bocca dalla prima persona che incontra, diventerà padrone della collina
- Ohhh, -rispose lei con occhi sorpresi- Ma il tesoro cos’è?
- Il tesoro….ehm…è – rimasi in sospeso non sapendo cosa inventare – è un vecchio monile realizzato con i chiodi che tenevano fissato un drago alla porta di questo castello – dissi indicando la sua casa.
Nel mentre mi frugavo con indifferenza nelle tasche alla ricerca di quel ciondolo realizzato da mio padre con i chiodi di cavallo. Era una sua vecchia passione, ed era molto bravo in questo; piegava con una pinzetta i piccoli ferri appuntiti e dalla grossa testa quadrata, dando loro gradevoli forme arrotondate ed unendoli in combinazioni originali. A volte erano fiori, a volte ciondoli, o semplici catene; quel giorno, uscendo dalla cantina, mi ero infilato in tasca uno di quei piccoli manufatti, costituito da tre semplici chiodi di ferro piegati ad arte e saldati.
Facendo finta di niente lo estrassi dalla tasca nascondendolo nella mano, continuando a frugare nel terriccio smosso dei fiori. Nel frattempo anche lei si era messa a frugare per aiutarmi. Fu un gioco da ragazzi farmi comparire dopo poco tra le mani il ciondolo sporco di terra:
- Eccolo, finalmente !! - esclamai a voce alta
Subito si avvicinò a me con la tipica curiosità femminile che ben avrei imparato a conoscere in seguito.
Forse fu in quel momento che mi innamorai di lei, del suo sguardo stupito, con quei grandi occhi verdi, che mi osservavano con ammirazione tenere il ciondolo tra le mani, quasi avessi tra le dita una delle meraviglie del mondo. Non dimenticherò mai la sua innocente sorpresa, e la mia reazione fu da giovane gentiluomo.
- Tieni – le dissi -  te lo dono, fanne ciò che vuoi
Lei mi guardò ancor più stupita, e mentre le consegnavo il prezioso bottino mi disse
- Oh, grazie, davvero. – rispondendomi con voce sognante e guardando l’oggetto tra le sue mani.
- ho pensato che se tu vivi qui sia giusto che resti a te, così nessuno potrà mandarti via da casa - le dissi
Dall’interno giunse una voce di donna con tono autoritario
- Valentina, hai finito in  piscina ?  dobbiamo andare
- Si mamma, arrivo subito - disse la bambina, affrettandosi verso la porta. Ma giunta qui si fermò improvvisamente, come avesse dimenticato una cosa; tornò precipitosamente sui suoi passi, ed in punta di piedi mi baciò sulla bocca dicendomi
- me l’hai regalato…ma non si sa mai

* * * * *

- Bambini, adesso è ora di dormire, vero?
- Uffa, dài papà, continua con la storia dei chiodi di cavallo, per favore
- Continuerò domani sera, su,  a nanna
-  Va bene, uff…
Richiudo la porta e mi avvio verso la cucina. Tu sei lì che stai ancora sparecchiando, ti volti verso di me e  con sguardo interrogativo mi chiedi:
- dormono già ?
Sorrido guardandoti; non sei cambiata Valentina, gli stessi grandi occhi verdi curiosi, le stesse efelidi sparse sul volto, ed al collo sempre quel vecchio ciondolo di chiodi di cavallo appeso ad un laccetto di cuoio.
Dalla finestra della torre la valle sotto è bellissima, stasera.



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