lunedì 23 luglio 2012

IL FREDDO DI FINE SETTEMBRE


San Sebastian
La locanda era affacciata sul mare, circondata da sassi di scoglio affioranti dalla sabbia come naufraghi esausti sopravvissuti alle onde.
Noi, ancora figli di antiche tempeste, stavamo al primo piano in quella stanza appesa sul niente come fosse un teatro, in silenzio ad aspettare un richiamo, una voce, magari anche un semplice pensiero che ci venisse a consolare dopo fatto l'amore.
Ma nulla giungeva dal blu, non serpi marine a minacciare, né sirene annuncianti paradisi di seconda mano.
Occupavamo la camera ad est, quella con la finestra che dava sul mare. Da lì, attraverso le persiane accostate, gustavamo ogni tanto  l'assonnato piacere dell'alba che nasce, da bilanciare con lo smarrimento del tramonto che triste ci scivolava alle spalle colorando in metallico grigio tutto l'immenso che avevamo di fronte.
Così vivevamo l'amore nascosto degli amanti, senza nemmeno accorgerci che ormai quella non era altro che una forma di noia a malapena bastante a se stessa.
Perchè tanto tempo prima, quando ci eravamo conosciuti, c'era stato un attimo, un solo unico irripetibile attimo in cui tutto era chiaro ed ogni cosa sarebbe stata possibile, anche vantarci anzitempo del mare che avremmo attraversato.
Ma la comprensione a volte non è per sempre, più spesso  la parola giusta da impiegare per non sbagliare è mai.
Così ci era sfuggito il momento, il tutto e subito che non potevamo più permetterci, ormai troppo lontano da recuperare in quella fine estate sulla spiaggia deserta di gente e di case.
Abitavamo settembre come fosse Times Square a Natale, ognuno parlando la propria voce alle cose incontrate: vecchi tronchi portati a riva dalla corrente, ciuffi sparsi di alghe strappate alle rocce, chele di granchio e pezzi di sughero  a comporre fantasie impossibili dopo l'ultima mareggiata. Sì, parlavamo ancora, ma senza ascoltare.
Dietro di noi intuivo i nostri passi divisi farsi orma accarezzata dall'acqua, poi, come promesse di amanti, nell'acqua scomparire.
Un sole magro e spento d'orizzonte vestiva la mia mano stesa ai tuoi capelli, che tanto ancora avrei potuto accarezzare solo ci fossimo concessi il semplice perchè che nessuno di noi pronunciò mai.
Così finì la storia.
Le nostre solitudini avverse non si fecero unisono e l'ozio stanco della rinuncia vinse senza sforzo la battaglia sulla nostra condizione precaria priva di futuro.
L'ultima immagine che ho negli occhi è la tua figura nuda, di schiena, rannicchiata in silenzio tra le lenzuola sfatte nel pomeriggio che si scurisce.
E mentre esco, sulla tua pelle nessun freddo tanto grande da volermi chiedere “ti prego, coprimi amore”.

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