domenica 2 settembre 2012

LA STORIA BUFFA



La storia si ripete.
Anche stavolta ci sono i buoni e i cattivi, come in ogni storia che si rispetti, anche se stavolta con qualche variante.
I buoni sono io. Brigata leggera, direte, ma selezionata, vi rispondo.
Giovane, alto, -allampanato dicono gli amici-  capelli lunghi arruffati, occhiali dalla montatura nera che mi danno un poco l’aria dello studente fuori corso. Vesto sempre un poco trasandato, quasi fossi un Einstein dei tempi nostri. Ma lui era trasandato??? A me piace pensare di si.
Attualmente sono impegnato nella preparazione dell’esame di astrofisica nucleare, per la terza volta. Appunto, fuori corso.
Come ogni sera esco dalla facoltà con le braccia ingombre di diagrammi, libri, articoli, alcuni dei quali simpaticamente occhiolinati da gustose macchie di unto, residuo del panino alla mortadella di qualche ora prima. Pazienza, la scienza non si nutre di sole radici quadrate.
Mio padre, mi aspetta in macchina poco distante dall’ingresso del campus, ed aspettandomi fuma una delle sue odiose sigarette al mentolo, mentre legge con attenzione gli annunci delle massaggiatrici nell’ultima pagina del giornale sportivo. Vecchio puttaniere potenziale, ormai lo conosco bene; si spolpa tutti gli annunci in un nanosecondo, sognando tra sé chissà quale avventura con le esuberanti signorine; in realtà è innamoratissimo di mia madre, e piuttosto che tradirla si farebbe prete. Ma gli piace sognare ad occhi aperti.
Come piace a me.
Ed i cattivi?? Chi sono?
Bè i cattivi sono loro, forse li potete vedere tutti i giorni anche voi.
In questo periodo mi stanno assillando, ma credo che per fortuna la cosa durerà ancora per poco.

Tutto iniziò quando avevo 15 anni.
All’epoca giocavo in una delle tante squadre di calcio giovanile della mia città. I miei compagni erano vecchi amici, ci conoscevamo sin dall’asilo; partecipavamo al campionato provinciale per ragazzi della nostra età, direi piuttosto con onore. Io ero il portiere ufficiale (promozione ottenuta in automatico quando il vero portiere era stato selezionato da una squadra di rango). Comunque me la cavavo bene, e la nostra difesa, forse anche un po’ per merito mio, era la meno battuta del campionato.
Quel sabato pomeriggio giocavamo contro i nostri storici avversari dell’Audace. L’antica rivalità non era mai passata, ed ogni anno, sin da quando eravamo piccoli, sembrava che il fulcro della stagione dovesse essere sempre e solo quella partita.
A metà secondo tempo stavamo vincendo due a uno quando, sul cross di un loro attaccante, uscendo di pugno mi scontrai con il nostro terzino. Il suo ginocchio, in un tentativo di rinvio, mi colpì alla tempia ed io caddi come una pera matura Non ricordo quanto tempo rimasi svenuto, ma la prima immagine che rivedo è quella di mio padre che emerge dal bianco del pronto soccorso. Solo dopo un’ora riuscii a rimettermi in piedi, passati tutti gli esami di routine, con medici ed infermieri che si affannavano intorno a me tra lastre e raggi di luce a ferirmi le pupille.
La botta era stata forte, ma in realtà non mi sentivo che un leggero peso alla testa. E fu uscendo dall’ospedale che li vidi per la prima volta; piccoli, in fila indiana, con le piccozze sulla spalla e vestiti con colori sgargianti  mi passarono davanti mantenendo lo stesso passo e salutandomi allegramente. L’ultimo del corteo, col vestito marrone troppo largo che lo faceva inciampare dopo pochi passi, mi strizzò l’occhio e con la rotazione della mano mi fece l’inequivocabile gesto che significa “dopo ci rivediamo”.
Rimasi stupefatto in mezzo al marciapiede mentre mio padre, avvicinatosi con la macchina, dal finestrino mi faceva segno di salire.
-         che ti prende,  coraggio sali.
-         Ma…papà, non hai visto quei tipi strani…
-         Che tipi….? dài sbrigati che sono in mezzo alla strada
Senza commenti salii sull’auto, ma mi voltai cercando di intravedere dove fossero finiti. La strada era affollata, ma dei sette nemmeno una traccia. Erano scomparsi. Credendo di aver avuto una allucinazione mi sedetti tranquillo e rimasi in silenzio fino a casa.
Diverse settimane dopo, quando ormai avevo completamente dimenticato l'episodio, ci fu il secondo incontro. Stavo entrando nei bagni della scuola quando dall’interno sentii una vocina che diceva:
-         guarda guarda chi si rivede…
Mi bloccai sullo stipite della porta riconoscendo la piccola figura che avevo davanti: le vesti colorate, un badile appoggiato accanto.
-         ma tu …… sei
-         certo, sono proprio io, Gongolo
-         cavolo... E che ci fai qui nella mia scuola?
-         Ah bèh, era ora che ci rincontrassimo, ricordi, l’ospedale…..?
-         Si certo, ora ricordo, ma…..
Proprio mentre stavo per chiedere cosa significasse la sua presenza lì, la porta si aprì ed entrò Andrea, un mio compagno di classe.
-         Con chi stai parlando – mi chiese guardandosi intorno
-         Con lui -. Risposi indicando il nano che avevo davanti
-         Con chi….?
-         Lui non può vedermi – disse Gongolo -  solo tu lo puoi
-         Ehhh….?? - mi sfuggì a voce alta mentre il nano rideva a crepapelle
-         Ehi che ti prende –mi disse Andrea- ti senti bene ?
-         Si…. Si, credo di si….dai torniamo in classe.          
Chiudendo precipitosamente la porta intravidi il piccolo essere che con un sorriso dal taglio misterioso mi salutava mettendosi in spalla il badile.
Per tutto il giorno rimasi scosso, tanto che da quella sera cominciai a girare con un piccolo temperino da boy scout in tasca; ma poco per volta mi convinsi che anche stavolta doveva trattarsi senz’altro di un effetto secondario della botta alla testa di qualche mese prima.
Per qualche tempo non successe più nulla, la vita continuava regolare e non ebbi più alcun tipo di allucinazione. La scuola mi impegnava a dovere, il calcio l’avevo prudentemente abbandonato –su consiglio “disinteressato” di mia madre- e tutto filava senza altri problemi che quelli soliti da adolescente.
Fu nuovamente a diciotto anni, due settimane prima dell’esame di maturità, che ricomparvero. Era la mattina dell'ultimo giorno di scuola e stavolta erano tutti e sette al completo, coi loro vestiti colorati e le facce buffe. In ordinata rassegnafila  me li trovai davanti incamera appena sveglio. Trasalendo mi stropicciai gli occhi e sedendomi esclamai:
-        ancora voi...!
-        Eh si, caro mio …. Eee…ttt….Eeetchù !– rispose Eolo, facendo seguire le parole da uno starnuto che avrebbe sradicato una pianta.
-        Ma cosa volete da me ?
-        Eh, caro giovane, tu ci devi fare un grosso favore.
-        Un favore ? Ma cosa mai 
-        Zitto e ascolta - mi impose Dotto, poi, con fare ampolloso si portò al centro della stanza ed iniziò a parlare:
-        Tu stai per sostenere l'esame di maturità vero ? Bene, noi possiamo, nella nostra qualità di esseri invisibili a chiunque tranne che a te, aiutarti nella prova. Possiamo fornirti la soluzione alle domande in anticipo, o, se preferisci, alterare i risultati ad esame avvenuto.
-        Ma come diav...
-        Allora sei pronto ? -  tuonò improvvisamente la voce di mio padre mentre spalancava la porta.
Poi sorpreso di trovarmi ancora a letto mi si rivolse con un più raffinato:
-        Ma cazzo, sei ancora in mutande..... sbrigati pirla che altrimenti non  faccio in tempo ad accompagnarti a scuola. - Nessun segnale, nemmeno accennato, di aver notato gli ospiti nella stanza.
-        Papà, ma tu non vedi...niente di strano? - chiesi timidamente mentre i sette sembravano godersela un mondo ridacchiando tra loro.
-        Ma sei impazzito ? Cosa dovrei notare di strano in questa stanza più di quanto già non sia -  disse indicando con un gesto ampio tutto il complesso cromatismo di fogli, manifesti, cd, vestiti, fumetti, scarpe che costituiva il mio mondo abituale.
-        Dài, adesso sbrigati che è tardissimo – concluse uscendo.
-        Ma papà...
-        Zitto ! - mi interruppe Brontolo - Come hai potuto già notare  nessuno ci vede o ci sente. Smettila con i tuoi dubbi o sarò costretto a convincerti diversamente – disse accarezzando allusivamente il manico del suo piccone.
-        Allora ditemi, cosa volete da me ?
-        E' semplice, una volta diplomato ti iscriverai all'università, alla facoltà di astronomia ...- continuò Dotto
-        Eh..? e perchè mai? Io voglio fare il medico...- lo interruppi
-        Silenzio ! - tuonò nuovamente Dotto – tu dovrai fare ciò che ti diciamo; una volta conseguita la laurea conseguirai la specializzazione in cosmologia e gravitazione poi ti diremo noi come comportarti.
La voce bellicosa di mio padre che mi chiamava dalle scale interruppe la discussione; mentre con un inequivocabile invito ad uscire Brontolo mi aprìva la porta sogghignando ed inchinandomisi platealmente davanti.
Come previsto dai nani l'esame andò bene, e tuttora non so se per merito mio o... altrui.
Tuttavia lo scoglio era superato; almeno quello intendo dire. Si perchè la notizia che volevo cambiare facoltà  non venne accolta bene in casa.
-        Che diavolo vuol dire che cambi facoltà eh ? Spiegamelo un po', che io nemmeno so che vuol dire astrofisico ! - Fu il primo commento di mio padre
-        Eh beh, ecco...ehm
-        ...e poi dimmi, che diavolo fa un astrofisico, dove lavora,  chi lo paga. Già, dimmi un po', chi ha bisogno di un astrofisico, una ditta, un ente....
-        ..ma non saprei, la Nasa, ad esempio....
-        Ohhhh, smettila per favore....vabè, fa un po' come ti pare – concluse il mio vecchio a cui non piacevano le discussioni.
Così iniziai con lo studio della matematica di alto livello, della chimica e della fisica per finire quasi a darmi del tu persino con la teoria della relatività, con buona pace di Albert.
Nell'impresa venivo aiutato, mio malgrado, dalle sette figure colorate che erano ormai una presenza quasi quotidiana accanto a me.
Ho detto erano? Erano, e sono !
Una vera ossessione, mi parlano, suggerendomi azioni o contestandone altre, sono invadenti  persino nella mia intimità e a volte mi capita di doverli cacciare in malo modo.
L'altra sera, ad esempio, mi sono trovato Pisolo nel letto che dormiva come un sasso.
Lo studio, come dicevo, procede bene fatto salvo questo  maledetto esame di astrofisica nucleare. Gli altri esami sono stati superati in un modo  o nell'altro, spesso avvalendomi della stima maturata in facoltà nei miei confronti, sopratutto in virtù dei risultati ottenuti come assistente ricercatore.
Si perchè, non so sotto quale misterioso influsso, mi capita spesso di compilare fogli su fogli di equazioni senza rendermi nemmeno bene conto di cosa sto scrivendo. E pare si tratti di roba parecchio interessante visto che il professore mi ha già requisito gli appunti, e confrontandoli con altri studi internazionali si è pubblicamente complimentato con me per la straordinarietà delle mie intuizioni. Ha iniziato a parlare di vettori, di coordinate spazio-temporali, di navicelle a propulsione magnetica e di una non meglio identificata rotta per gli anelli di Saturno. Tutto sorprendentemente realizzabile, secondo lui, in breve tempo e a basso costo.
Io non so onestamente di cosa lui stia parlando, so solo che i sette continuano ad assillarmi perchè io superi questo esame decisivo; anche se a loro detta questa  dovrebbe essere la volta buona.
E anch'io non vedo l'ora di finirla con gli studi e con i sette rompiscatole; e se mai fosse possibile realizzare quella benedetta navicella credo farei l'impossibile per rinchiuderci dentro i malefici nani e spedirli dritti all'altro lato dell'universo, il più lontano possibile da me.
Poi mi rendo conto che è solo un sogno, e mi rituffo a capofitto nei libri.
 

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